Quando si parla di cattiva madre in realtà ci si riferisce ad una madre disfunzionale. Sappiamo, però, che esistono madri capaci di ferire intenzionalmente i propri figli. In questo articolo mi vorrei soffermare sulle differenze
Sappiamo, però, che esistono madri capaci di ferire intenzionalmente i propri figli. In questo articolo mi vorrei soffermare sulle differenze tra madri funzionali e madri disfunzionali.
E’ importante comunque chiarire che esistono diversi gradi di disfunzione e non tutte le madri disfunzionali pesano in egual modo sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino poiché le variabili in gioco sono molto numerose.
Si parla di madri disfunzionali e non di “cattive madri” perché anche la madre dotata delle migliori intenzioni, se caricata eccessivamente di stress, può commettere errori. Una madre scostante, sempre stanca di doversi occupare di tutto, sempre sovraccarica di impegni, probabilmente non riuscirà a trasmettere il giusto concetto d’amore al figlio e questo, presto o tardi, finirà per sentirsi di peso. Di certo, una madre sovraccarica non sarà nociva quanto una madre che nell’instaurare il legame con la prole elimina ogni confine.
Una madre sufficientemente buona è quella che sposa un concetto fondamentale ed educa i figli sulla base di esso. Per essere una madre funzionale non sono richiesti super-poteri, il concetto da fare proprio è unico e apre le porte ad innumerevoli implicazioni complesse. Il concetto cardine, semplice da comprendere ma difficile da vivere, è questo: il bambino è una persona a sé e in quanto tale dovrà essere accudita.
La comprensione che il bambino è una PERSONA a sé e che quindi non è un’estensione del Sé materno, apre le porte ad ulteriori concetti fondamentali: esistono confini ben definiti tra ciò che vuole la madre e ciò che vuole il bambino. Esistono confini ben scanditi tra il Sé della madre ed il Sé emergente del bambino.
Questo unico concetto ha grosse implicazioni pratiche. Basterà pensare alle prime cure ricevute del neonato oppure al modo in cui, successivamente, il genitore accoglie e rispetta le volontà del bambino (entro i limiti di benessere). L’esempio più eclatante sta nel genitore che vuole imporre la pratica di una disciplina sportiva al figlio che in realtà vorrebbe fare tutt’altro.
Grazie a questo principio cardine, il bambino sarà preparato all’autonomia ed alla responsabilità delle proprie scelte. Il tutto in un ambiente supportivo, perché il bambino gradualmente introietterà all’interno delle proprie esperienze, la consapevolezza di avere una madre in grado di nutrire rispetto per i suoi bisogni.
Un bambino piccolo non ha le capacità cognitive di un adulto. Il neonato che viene al mondo, non possiede la consapevolezza di essere un organismo a sé ma si osserva con gli occhi della madre. Se la madre lo vedrà come una persona a sé e gli trasmetterà stima, egli capirà di essere degno d’amore e di vivere in un mondo dove l’altro è capace d’amore.
Al contrario, se la madre disfunzionale inizierà a proiettare nel bambino bisogni propri, il bambino sostituirà i bisogni della madre ai propri. Una volta cresciuto, l’adulto si sentirà confuso sulla propria identità e farà fatica a capire i propri bisogni. Non solo, poiché i suoi bisogni non sono mai stati rispettati, svilupperà delle rappresentazioni di Sé e del mondo opposte a quanto visto prima. Svilupperà, quindi, un’immagine di sé indegna di amare e penserà che nel mondo non vi sono persone capaci di dare supporto.
In circostanze estreme, il bambino perderà completamente quella che è definita come fiducia epistemica primaria. Crescerà cioè con il presupposto che l’altro non potrà capire ed accogliere i suoi bisogni e rinuncerà alla disponibilità a dipendere da un’altra persona (inteso come interdipendenza sana, nelle relazioni sentimentali), rinuncerà a rendersi vulnerabile ed a fidarsi dell’altro. Non sarà così in grado di chiedere e/o accettare aiuto e supporto dall’altro. Non riconoscerà le persone che potrebbero essere realmente disponibili. Questa è solo una delle conseguenze possibili di un legame materno invalidante.
Perché parlare di buona e cattiva madre? Perché è necessario sfatare il mito materno. La madre viene ancora vista e vissuta quasi come una creatura mitologica alla quale un figlio deve tutto, sempre e comunque, in modo incondizionato. In realtà ogni gesto ha delle conseguenze, ogni azione ha degli effetti e questo vale anche per le condotte materne.
Un figlio che decide di distaccarsi dai genitori viene pesantemente condannato dai genitori e dalla società stessa, proprio perché quello tra madre e figli viene visto come un vincolo indissolubile. Inoltre la mitizzazione materna ha dei risvolti negativi sulla psiche della stessa madre. Ogni essere umano è fallibile, può commettere errori, anche un genitore può farlo e non per questo deve essere condannato.
Il genitore svolge indubbiamente un ruolo difficile ma donare la vita ad un figlio dovrebbe coincidere sempre con un gesto d’amore, fatto con coscienza e consapevolezza e non come un gesto egoistico, compiuto con la pretesa di concedere in prestito la vita al figlio così da rivivere la propria mediante di esso. Un figlio è una persona a sé, non uno strumento nelle mani materne, con bisogni e sentimenti propri. Partendo da queste considerazioni e consapevolezze l’esperienza di accudimento e di interazione col figlio può rappresentare un’avventura piacevole da vivere step by step insieme, attraverso la scoperta di elementi sempre nuovi da scoprire sia per il caregiver sia per il bambino.
Dott.ssa Raffaella Pantini Psicologa e Psicoterapeuta
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