La paura delle proprie emozioni

Pubblicato il 10 giugno 2024 alle ore 11:13

La paura è un’emozione di base che caratterizza ogni essere umano. Ognuno di noi ha un certo numero di eventi, situazioni o di oggetti che lo spaventa o lo preoccupa.

Che si tratti di un colloquio di lavoro, di parlare davanti a un pubblico o di entrare in ascensore, la paura fa parte della normale esperienza umana. Ma cosa succede quando la paura non riguarda degli eventi esterni a sé ma qualcosa di interiore come le nostre stesse emozioni?

A volte può capitare di ignorare alcuni segnali del nostro corpo a cui non riusciamo a dare un significato come tachicardia, respiro corto, tensione muscolare, percezione di un peso sul petto o di un groviglio nello stomaco. Il nostro organismo conosce molteplici strategie per avvertirci di una minaccia, reale o percepita. 

Di frequente non prestiamo attenzione a tali segnali per il timore di stare a contatto con emozioni o pensieri che preferiamo ignorare. In questo modo otteniamo l’illusione di avere un controllo continuo sulla nostra vita: cerchiamo di distrarci pensando che questo farà semplicemente sparire l’emozione dolorosa o spiacevole che stavamo provando. In realtà si tratta di un auto-inganno potenzialmente dannoso.

Sentire le emozioni è indispensabile per diversi scopi:

  • gestire in anticipo le situazioni che ci spaventano ed arrivare preparati
  • capire cosa è importante per noi
  • mettere a fuoco eventi o situazioni potenzialmente dannose per poterci attivare e modificarle
  • regolare il nostro comportamento e le nostre scelte
  • vivere le relazioni in modo funzionale.

Ma perché le persone dovrebbero scegliere di non sentire ed ascoltare le emozioni? Da dove deriva la paura dell’introspezione e di stare a contatto con le proprie emozioni? Per molti di noi provare emozioni intense come tristezza o ansia può significare essere deboli: tale sentimento di vulnerabilità può generare vissuti di paura o di vergogna. Per evitare di sentirsi deboli le persone possono avere la tendenza a banalizzare e minimizzare le emozioni, attribuendole a qualche evento accidentale. Sono ricorrenti frasi come “il passato è passato, inutile rivangare”, “non ha importanza”, “ormai sono abituato”, per togliere rilevanza e intensità a stati emotivi problematici.

Il pensiero razionale si oppone dunque alle emozioni, le quali vengono relegate al mondo del sentimentalismo e della debolezza. La paura di sentire determina una perdita di contatto con il proprio sé e può degradare i rapporti umani significativi perché tende a creare distanza tra sé e l’altro. Inoltre, il continuo tentativo di non vedere le proprie emozioni comporta un ingente sforzo che può avere conseguenze negative sulla salute.

Fuggire dalle proprie emozioni, intenzionalmente o meno, può determinare uno stato di anestesia emotiva, un torpore che ci offre un senso di controllo illusorio, di stabilità ingannevole. Tali aspetti, seppur temporaneamente rassicuranti, possono essere dannosi quando la persona non riesce a utilizzare le proprie emozioni come bussola per orientare il comportamento e le decisioni. L’immersione in uno stato ovattato riduce la possibilità di essere feriti dall’esterno ma anche di trarne piacere e benessere. 

Tutte le esperienze umane sono costituite da pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Le emozioni, anche se a volte possono essere fastidiose o soverchianti, permettono di costruire un legame tra eventi, pensieri e sensazioni somatiche. Senza l’etichetta emotiva di ansia, ad esempio, non abbiamo strumenti per attribuire l’accelerazione cardiaca al pensiero dell’imminente colloquio di lavoro e, di conseguenza, potremmo cercare altre interpretazioni, come una disfunzione cardiaca o altro. La somatizzazione nasce infatti da messaggi veicolati dal corpo, senza che la mente dia loro un significato adeguato.

Il percorso di psicoterapia consente di apprendere nuove strategie per cucire insieme pensieri, emozioni e sensazioni fisiche allo scopo di restituire unitarietà e coerenza al sé. Mettendo a fuoco le oscillazioni emotive e i corrispettivi psicofisiologici, la terapia ci allena a sviluppare l’intelligenza emotiva e a restare in contatto con ciò che più ci spaventa ma che, allo stesso tempo, definisce la nostra natura.

Dott.ssa Raffaella Pantini Psicologa e Psicoterapeuta

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