Nell’antico Egitto lo scarabeo (chiamato kheperer, termine simile a quello del dio Khepri che rappresentava il sole) era il simbolo della resurrezione.
Il potere trasformativo dello scarabeo e della parola
Nell’antico Egitto lo scarabeo (chiamato kheperer, termine simile a quello del dio Khepri che rappresentava il sole) era il simbolo della resurrezione. Il dio sole che sorgeva al mattino, era immaginato nelle forme dello scarabeo stercorario (Scarabeus sacer) o di un uomo con uno scarabeo al posto della testa. L’astro solare, Khepri, dotato di tutta la sua forza e maestosità, prendeva le forme dello scarabeo in quanto questi andava a simboleggiare il divenire (sorgere, tramontare e risorgere) del disco solare durante il suo ciclo giornaliero.
Lo Scarabeo, quindi, è un simbolo sacro, considerato dai sacerdoti perfetto simbolo dell’interpretazione del ripetersi del giorno e della notte, in analogia con le peculiari caratteristiche biologiche e riproduttive del coleottero. Come lo scarabeo spinge, infatti, in avanti una palla di sterco in cui deporrà le uova e da cui nasceranno le larve, allo stesso modo Khepri, il dio sole (interpretato dalla scarabeo), spingeva il disco solare al mattutino illuminando la terra e spazzando via il buio della notte al sorgere dell’alba.
Questa similitudine determinò l’identificazione nello scarabeo della divinità solare, che rinasceva ogni giorno a nuova vita. La figura Khepri-scarabeo è quindi simbolo di rinascita, di vittoria della luce sulle tenebre, del potere generativo e della vita sulla morte. Secondo l’esoterista ed egittologo francese René Adolphe Schwaller de Lubicz, l’instancabile avvicendarsi costante, del lavoro dello scarabeo Khepri, incarna il modello delle forze della natura che sono in continuo movimento e trasformazione.
Così come lo scarabeo è simbolo del potere trasformativo del giorno di rinascere ogni volta così la psicoterapia si avvale della parola come strumento di rielaborazione dei vissuti e delle emozioni del paziente per giungere ad una nuova comprensione della storia mediante nuovi significati.
“Originariamente le parole erano magie e, ancor oggi, la parola ha conservato molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro. Non sottovaluteremo, quindi, l’uso delle parole nella psicoterapia” (Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi, 1915/32).
Fin dal principio Freud portò l’attenzione sulla parola come strumento peculiare della psicoterapia, che si basa sul colloquio, l’ascolto e la comprensione empatica, attraverso la quale lo psicoterapeuta accoglie e si prende cura del disagio del paziente, eliminando ogni tipo di censura o di giudizio e permettendo al paziente di abbandonare ogni tipo di filtro comunicativo per lasciarsi andare alle libere associazioni. Il terapeuta, attraverso l’uso della parola, si prende cura del paziente e, attraverso il dialogo, lo aiuta a prendersi cura di sé.
La parola è dunque lo strumento principale utilizzato in psicoterapia (unitamente all’ascolto ed all’atteggiamento empatico) ed attraverso di essa si esprimono emozioni, vissuti, esperienza passate, disagi, paure riferite al futuro, aspettative e desideri, che verranno accolti dallo specialista senza essere sottoposti a giudizio in modo da aprire la strada all’esplorazione di nuove prospettive, alla trasformazione ed al cambiamento.
Dott.ssa Raffaella Pantini Psicologa e Psicoterapeuta
Aggiungi commento
Commenti