silenzi e segreti

Pubblicato il 23 marzo 2024 alle ore 11:47

Silenzi e segreti di famiglia Come una linea di demarcazione tra interno e esterno, tra chi sa e chi non sa, il segreto stabilisce un limite, delimita un territorio, uno spazio “transizionale interno”, necessario alla facoltà e capacità di creare i propri pensieri. I segreti si pongono come garanti della nostra intimità, testimoni dei nostri limiti, fatti della stessa sostanza dell’Io. Poiché non c’è Io che tenga senza che tenga i suoi segreti. (Racamier, 1995). 

I segreti si pongono come garanti della nostra intimità, testimoni dei nostri limiti, fatti della stessa sostanza dell’Io. Poiché non c’è Io che tenga senza che tenga i suoi segreti. (Racamier, 1995). 

Nel momento in cui il bambino comprende che esistono cose riguardo a sé stesso che solo lui conosce, può iniziare a sentirsi separato e distinto dai suoi genitori, così come l’adolescente, nel costruirsi un proprio spazio segreto e privato, può procedere al secondo processo di individualizzazione che garantisca l’esistenza di legami funzionali tra individui separati e differenziati. I segreti garantiscono e mantengono, dunque, la possibilità di pensiero. 

Il contenuto del segreto, però, è sì un bene prezioso ma è anche “la cosa cattiva da nascondere, fonte di vergogna e di minaccia per l’integrità narcisistica”. Il segreto, come la ritenzione delle feci da parte del bambino, può essere fonte di soddisfazione e piacere ma anche sostanza tossica e fonte di sofferenza, se esso ad un certo punto, non viene espulso.

Così come avviene tra possessore e posseduto, quando non è più il soggetto ad avere il potere sull’oggetto, ma bensì il contrario, allora esso cessa di essere strutturante per l’identità e diventa una dipendenza, intorno a cui si concentra gran parte dell’energia dell’individuo che ne risulta così indebolito nell’affrontare altri ambiti della sua vita.

In questi casi il segreto diventa conseguenza e causa di una scissione parziale di un’esperienza particolarmente dolorosa, una forma di organizzazione psichica, talvolta parzialmente consapevole ma altre volte totalmente inconscia ed è tale scissione la chiave patogena dei segreti. 

Racamier chiama questi tipi di segreto antilibidici, ponendo l’enfasi sul silenzio e gli sforzi compiuti nel mantenerli celati e sul blocco instaurato alla possibilità di pensare che induce anche nell’altro il timore di chiedere e l’imposizione a mantenerlo tale.

Tali implicazioni sono estremizzate quando lo spazio, in cui il segreto viene a generarsi, è il contesto familiare. Le mura domestiche si impregnano di un’aurea incestuale, invischiata e invischiante in cui il non detto, che bisogna tacere, diventa un oggetto che non si deve pensare, un buco nero che gravitazionalmente lega e tiene insieme ma impedisce di pensare, rendendo così inattaccabile il segreto stesso.

Eppure esso, affacciandosi continuamente al preconscio, trasuda, attraverso espressioni facciali o comportamentali e, provocando disturbi nella comunicazione, testimonia movimenti interni talvolta in contraddizione con le parole. In questo modo il dolore intangibile ed invisibile di chi ne è il custode finisce per intrecciarsi con la sofferenza di coloro che, standogli accanto, lo ignorano e pur lo percepiscono. Si viene pertanto a creare un involucro familiare, la cui trama presenta falle e ferite che gravitano intorno a sé, come anticorpi inefficienti, fantasie e pensieri, che senza colmarle vi si addensano per poi essere, inevitabilmente, permeabilizzate dall’usura del tempo.

Da ciò ne consegue che un bambino, nei suoi primi anni di vita, farà di questa trama l’ordito da cui creare il proprio mondo interno e la propria individualità, avendo, quello stesso sistema familiare, provveduto al contenimento e metabolizzazione delle sue prime sensazioni corporee e degli stessi depositi trans-generazionali.

Si tratta di una vera e propria trasmissione di fantasie inconsce a cui segue un’alleanza altrettanto inconscia e che ha come scopo quello di preservare la continuità del gruppo e allo stesso tempo di costituire il segreto stesso, stabilendo ciò che è da lasciare al silenzio. In questo modo le fantasie inconsce trasmesse acquisiscono la valenza di ombre, cioè una conoscenza non pensata, non elaborata, carica, in quanto tale, di un’angoscia terrificante e traumatica. 

Non è dunque il reale contenuto latente tenuto nascosto che provoca la patologia familiare, quanto piuttosto la segretezza stessa che comunica una proibizione a pensare, immaginare e sapere (Racamier). Dunque quel che realmente assume connotazioni tossiche è proprio la lacuna di rappresentabilità dovuta alla sofferenza legata al segreto, la quale, non potendo assumere un valore dialogico, tuttavia continua a rimanere in circolo e ad essere reintroiettata come oggetto non-comunicativo da parte dei figli. E’ proprio per questo che l’oggetto segreto riesce a sfuggire all’usura del tempo, poiché attiva processi che evitano l’elaborazione del lutto (Racamier). 

La trasmissione di un elemento siffatto rientra nella modalità che può essere definita transgenerazionale che, a differenza della trasmissione intergenerazionale, non si basa sulla veicolazione di vissuti elaborati dalla generazione precedente e perciò funzionali e godibili dalla trama del tessuto fantasmatico familiare, bensì sulla trasmissione bruta di oggetti psichici non trasformabili e non pensabili che, quindi, sono incorporati e percepiti ma non compresi. 

Sembrerebbe, perciò, spettare alle successive generazioni il compito di portare a simbolizzazione e rappresentazione ciò che è rimasto incistato, sospeso, incompiuto, non elaborato nell’inconscio di quelle precedenti, cosicché all’eco dei vuoti dei discorsi dei genitori, la seconda generazione risponderebbe con deliri e allucinazioni, nel tentativo di dare un senso alle esperienze reali celategli. Fantasie allucinate che tuttavia mancano della caratteristica di un senso intersoggettivo che consenta la riflessione su di essi e la crescita mentale che può avvenire solo attraverso l’appropriazione collaborativa di significati.

Pertanto, come in un processo di filatura, il percorso di psicoterapia può aiutare a sbrogliare il segreto dalla tela che lo avvolge ed accompagnare il paziente verso una nuova concettualizzazione dello stesso. Lo spazio del setting, come potenziale generatore di pensiero, va a sostituirsi al vortice distruttivo familiare in cui si è consumato il segreto ed il terapeuta, con la sua attività di ascolto e di holding, mette il paziente al riparo dal rischio di ri-traumatizzazione, avviando in lui un processo elaborativo e trasformativo attraverso il quale, il non detto, assumerà una connotazione completamente nuova, e potrà finalmente inscriversi all’interno di una nuova storia.

 

Dott.ssa Raffaella Pantini Psicologa e Psicoterapeuta  

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